di Marco Imperadori
Professore Ordinario di Produzione Edilizia
Titolare della cattedra di Progettazione e Innovazione Tecnologica
Delegato del Rettore per l’Estremo Oriente
Politecnico di Milano
Dall’Acciaio alla Città… parafrasando la celebre frase di Ernesto Nathan Rogers (“dal cucchiaio alla città”), concepita per la Carta di Atene del 1952, che parlava delle arti dei progettisti come un unicum disciplinare, significa definire una sfida che è allo stesso tempo industriale e culturale, fatta di scienza e arte. Proprio dall’Acciaio parte il percorso (e la strategia) di Scaffsystem-Officine Tamborrino, un’eccellenza italiana in grado di coniugare Industrial Design (le scaffalature per la logistica) e product Design (gli arredi e gli oggetti) per arrivare ad un nuovo recente orizzonte: la Città, grazie all’Architettura e alle potenzialità di trasferimento tecnologico e di know how che deriva proprio dai rami industriali sopra citati. Un filo conduttore lega questa triade: Industria-Design-Architettura, come una sorta di triplo nastro, elicoidale, un DNA concettuale in grado di essere reciprocamente seminale.
Ecco quindi che lamiere presso piegate a freddo, forate, bullonate, verniciate, diventano oggetti d’uso industriale, complementi d’arredo e ossature o pelli architettoniche, secondo un’intelligente differenziazione progettuale in grado di ottimizzare anche i processi produttivi, ottenuti mediante le macchine a controllo numerico più avanzate e sempre più in grado di interfacciarsi con piattaforme BIM (Building Information Modeling).
Questo percorso complessivo di conoscenza e innovazione tecnologica e industriale passa anche dal confronto diretto con il team del Politecnico di Milano (dipartimenti di Design e Architettura Built environment e Construction Engineering) con cui è in atto una ricerca e con cui si sono già realizzati alcuni importanti prototipi.
Un primo “manifesto” fisico di questa strategia è stata nel 2018 la partecipazione alla mostra “999-una collezione di domande sull’abitare contemporaneo” curata da Stefano Mirti alla Triennale di Milano. Il piccolo padiglione, disegnato da Salvator John Liotta (LAPS studio e ULB Bruxelles) e dal sottoscritto con il team del Politecnico di Milano, rappresenta il concetto di abitare “co-dividuale”. La condivisione degli spazi oltre che degli oggetti (si pensi al car o bike sharing) riporta la gente a “connettersi” realmente e fisicamente ed è il motore del progetto SHARE che ha caratterizzato la partecipazione di ScaffSystem e Officine Tamborrino al Salone del Mobile 2018 con due realizzazioni, anch’esse prototipiche e frutto di “meccanica dell’architettura”. La prima è uno spazio di co-working e co-living in Via Ventura dove un loft totalmente arredato con elementi Officine Tamborino è stato dotato di capsule abitative flessibili e smontabili. La seconda è il padiglione DTL- Delight The Light, realizzato in Piazza Castello a Milano e adibito a spazio comune per la stampa.
In tutti questi casi è evidente l’aspetto di industrializzazione del processo costruttivo che, frutto di un’evoluzione tecnologica “darwiniana”, porta verso metodologie innovative di prodotto-processo-progetto che affiancano o sostituiscono quelle più utilizzate dalla metà del secolo scorso a oggi (latero-cementizie). Il fatto che questi sistemi siano leggeri, per esempio, li porta automaticamente all’attenzione dei progettisti in Italia, vista la criticità sismica del nostro territorio. Dal punto di vista architettonico, con queste tecnologie è possibile avere sia una morfologia “tradizionale” sia una morfologia più spiccatamente libera e architettonicamente espressiva. Nei confronti delle azioni energetiche esterne ed interne le costruzioni “meccaniche” assemblate e stratificate a secco possono essere edifici sensibili, addirittura “attivi” (Active House) sfruttando l’elasticità dei pacchetti (per l’acustica) o la conformazione molecolare dei singoli materiali in gioco e definendo un comportamento differente rispetto a quello inerziale tipico delle soluzioni massicce a umido (quindi sono resistivi e isolanti, non capacitivi).
Dal punto di vista ergotecnico/costruttivo l’uomo resta centrale, e chi costruisce deve essere formato tecnicamente per procedere correttamente all’assemblaggio e alla connessione di elementi costruttivi complessi in cantiere.
Attraverso la costruzione a secco sono infinite le possibilità di comporre pacchetti prestazionali, anche innovativi, variando liberamente i componenti di pacchetti già rodati. La leggerezza costruttiva complessiva, l’eco-sostenibilità, la velocità costruttiva, la ciclicità d’uso e la manutenzione più facile mostrano fortissime potenzialità di innovazione, che è majeutica, poiché dà senso costruttivo e positivo all’industrializzazione.
Parlare di Meccanica dell’Architettura ha dunque una connotazione positiva, in grado di eliminare le barriere fra scienza e arte. Il ricorso a una meccanica(1) alla Reyner Banham (ciò che è meccanico, tecnicamente producibile e riproducibile, non è privo di valori, bensì avvicina la scienza ingegneristica-analitica e l’arte architettonica-sintetica) implica fabbricare un edifico (senza la connotazione negativa che spesso, a torto, si associa alla parola pre-fabbricare). Etimologicamente quindi esso nasce da una fabbrica (o da molte visto che i materiali e prodotti provengono da più industrie) e si ricompone nella “fabbrica di cantiere” che è luogo di assemblaggio e connessione di strati e componenti in un sistema tridimensionale complesso: una supply chain, molto più contemporanea e efficiente.
Proporre, in definitiva, un approccio meccanico alle costruzioni non vuole dire propendere per una deriva meccanicistica. L’architettura è una macchina, dotata di tecnologia ma è al tempo stesso un organismo empatico sia con l’ambiente che con i propri utenti, dove lo spazio fornisce confort, risparmio energetico e rispetto ambientale; l’esperienza di ScaffSystem e Officine Tamborrino e di questo nuovo passo architettonico si ascrive pienamente in questo ambito. Come diceva Galileo Galilei: sana esperienza e necessaria dimostrazione… i prototipi già realizzati e gli edifici costruiti mostrano che l’orizzonte è promettente e va perseguito con forza.
(1) Reyner Banham, Architettura della Seconda Età della Macchina, a cura di Marco Biraghi, Electa, Milano, 2004.